La scienza concorda sul fatto che il riscaldamento climatico…..esiste! ed è primariamente collegato alle emissioni umane di gas ad effetto serra, le quali sono a loro volta connesse ai consumi umani di energia (di origine fossile).
Si tratta di un processo preoccupante, dal momento che tale riscaldamento origina numerosi conseguenti fenomeni di alterazione in tutti i comparti ambientali, e già oggi sono ben visibili a livello fisico (andamento meteoclimatico in primis) e biologico le sue conseguenze.
L’IPCC nel suo “Fourth Assessment Report of the Intergovernmental Panel on Climate Change” (2007), dice testualmente: “La comprensione dell’influenza antropogenica nel riscaldamento e nel raffreddamento del clima è migliorata (…) portando alla conclusione, con confidenza molto elevata (“very high confidence”), che l’effetto globale medio netto delle attività umane dal 1750 sia stato una causa di riscaldamento” (del clima).
Ed anche il più recente Fifth Assessment Report (AR5) dell’Ipcc, emesso in fase preliminare nell’autunno 2013 con il titolo “Climate Change 2013: The Physical Science Basis“, porta a conclusioni ancor più chiare e coerenti con quanto già anticipato e comunque con le indicazioni che la scienza sostiene da decenni: il cambiamento climatico esiste e l’uomo ne è con certezza la causa.
Se ad oggi la temperatura media terrestre è cresciuta di +0,7 °C rispetto all’era pre-industriale, il report specifica che per contenere l’aumento della temperatura media terrestre (rispetto all’era preindustriale) a + 2 °C, ed evitare così esiti globali drammatici e non più controllabili, sarebbe necessario contenere le concentrazioni complessivi di gas di serra atmosferici entro le 450 ppm CO2eq (parti per milione).
Se non per una logica di “etica ambientale” per una serie di ragioni squistamente economiche:prevenire ora costa meno che riparare in un futuro i danni ambientali.
Si consideri che l’attuale concentrazione di gas serra raggiunge i 430 ppm CO2eq, quindi per raggiungere l’obiettivo del contenimento della concentrazione a 450 ppm sono necessari sforzi di riduzione/assorbimento emissivo non indifferenti: infatti sarà necessaria una riduzioni delle emissioni dei Paesi più industrializzati dell’ordine del 25-40% entro il 2020 e dell’80-95% entro il 2050.
La regione polare
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In Antartide si ipotizza l’eventualità di un collasso dell’inlandsis occidentale nei prossimi secoli e di un conseguente innalzamento del livello del mare.
Il ghiaccio che si trova al polo nord, invece, galleggia sul mare ed è costituito da una banchisa spessa fino a 10 m. Il suo scioglimento non determina un innalzamento del livello del mare, in quanto il volume del ghiaccio rimpiazza esattamente il volume dell’acqua spostata.
L’Artide è la zona del nostro pianeta che risente per prima dei mutamenti climatici. Già oggi gli inverni sono più miti, la primavera giunge in anticipo e il ghiaccio si assottiglia. Non c’è da stupirsi: la temperatura atmosferica al polo nord è aumentata di ben 5 °C nell’ultimo secolo, e lo spessore della banchisa, durante l’estate, si dimezza.
A causa del ritiro dei ghiacci polari l’Oceano Artico, che oggi agisce come un riflettore, restituendo all’atmosfera circa l’80% della luce solare grazie al biancore dei ghiacci, si trasformerà in un collettore di calore che assorbirà il 90% dell’energia solare e ne rifletterà solo il 10%. Di conseguenza, la temperatura dell’intera regione si innalzerà, con notevoli ripercussioni a livello degli oceani e dell’atmosfera.
secondo il mio parere tutto sta cambiando